Klaus Mann e l’integrità intellettuale
Articolo di Lavinia Capogna
( Dicembre 2021 ) –
Negli ultimi 50 anni si è costruita una immagine di Klaus Mann stilizzata, eccessivamente depresso, sconfitto, disperato ma questa immagine a mio avviso corrisponde solo in parte alla realtà perché egli fu anche molto combattivo e decisamente stakanovista nel suo lavoro. Klaus Mann fu uno scrittore tedesco di grande talento e uno degli intellettuali antifascisti più impegnati del Ventesimo secolo.
La sua opera letteraria, composta in solo vent’anni di tempo, è molto vasta, comprende ben 9 romanzi, 7 commedie, racconti, molti saggi ed articoli su diversi temi, critiche letterarie, lucide analisi della situazione storica e politica del suo tempo, ristampata in vari volumi nelle prestigiose edizioni Rowohlt e solo in parte tradotta in italiano.
La sua autobiografia, “La Svolta”, è uno dei documenti umani più belli ed interessanti del Ventesimo secolo. infatti in essa Klaus Mann non solo racconta la sua vita ma anche la storia sociale, politica e mondana della prima parte del suo secolo così come la visse lui. La sua famiglia lo poneva in una posizione intellettuale favorita in rapporto ad altri anche se invece, come vedremo, non lo fu a livello privato, suo padre era Thomas Mann, celebre romanziere e Premio Nobel 1929, suo zio Heinrich Mann, anche lui famoso ed impegnato scrittore tra le cui opere c’era anche un romanzo dal quale venne tratto il film “L’angelo azzurro” diretto dal regista Von Stenberg ed interpretato da Marlene Dietrich.
Fin da adolescente Klaus Mann, che era anche un bellissimo ragazzo, manifestò un grande amore per la letteratura, leggeva tutti i giorni. Imparò anche il francese e questo gli consenti di approfondire così bene la cultura francese tanto da scrivere da adulto un saggio molto interessante su André Gide, da conoscere Jean Cocteau che avrebbe anche scritto una prefazione al suo romanzo “Alexander”, una bella biografia di Alessandro Magno, e un suo grande amico e amore non ricambiato fu lo scrittore surrealista René Crevel.
Complesso e problematico fu il rapporto con il celebre padre. Thomas Mann era un uomo introverso ed egocentrico per quanto pieno di talento letterario. Egli fu l’ultimo degli scrittori Classici e tra i suoi bellissimi romanzi ricordiamo “I Buddenbrook”, “Tonio Kröger”, “La morte a Venezia” ( di cui parleremo tra breve), “La montagna incantata” e “Giuseppe e i suoi fratelli”. Thomas Mann e sua moglie Katia Pringhsheim avevano avuto sei figli e tra parentesi nel 1977 si sarebbe suicidato anche il loro figlio Michael, concertista di viola.
Un fattore molto importante nella difficile relazione tra padre e figlio fu quello che mentre Klaus Mann aveva pienamente accettato il suo orientamento omosessuale fin da ragazzo tanto da pubblicare a soli 19 anni un romanzo su questa tematica Thomas Mann aveva invece rabbiosamente rifiutato il suo orientamento bisessuale (per chi volesse approfondire l’argomento mi permetto di suggerire il mio articolo “L’ omosessualità nella vita e nelle opere di Thomas Mann” del 2004 sul sito culturagay).
Si potrebbe fare l’ipotesi e chiaramente sarebbe una ipotesi non verificabile che Thomas Mann avesse riversato sul figlio Klaus la sua invidia per il suo (del figlio) dichiarato orientamento omosessuale che egli aveva represso salvo poi esserne tormentato come emerge dai ‘Diari’, pubblicati per sua volontà venti anni dopo la sua morte.
Thomas Mann aveva scritto molti anni prima, nel 1912 a 36 anni, un romanzo breve che aveva destato enorme scandalo, “La morte a Venezia”, ispirato ad una vicenda autobiografica sulla fascinazione platonica di uno scrittore in crisi verso uno sconosciuto, bellissimo adolescente polacco Tadzio ma non aveva mai difeso pubblicamente l’omosessualità, che oltrettutto riguarda sentimenti tra persone adulte, e anzi nel suo singolare saggio “Sul matrimonio” ne aveva parlato in modo singolare.
Thomas Mann, per un paio di volte, come scrisse nei Diari, rimase ‘sopraffatto’ dalla bellezza del figlio quattordicenne.
In una novella ‘Disordine e dolore precoce’ aveva descritto Klaus Mann adolescente come un ragazzo perdigiorno e sognatore.
Un’altra ipotesi anche questa non verificabile è che Thomas Mann fosse geloso del talento letterario del figlio di cui, questo invece si sa, era consapevole.
Klaus Mann rifiutò riguardo alla sua carriera letteraria ogni eventuale appoggio paterno, cercò di avere successo solo grazie al suo talento nel vivace e rutilante mondo della letteratura tedesca nel tempo della Repubblica di Weimar (1919 – 1933).
Nato a Monaco di Baviera nel 1906 a soli 17 anni riuscì a trovare lavoro come critico teatrale, il teatro fu una sua grande passione e fu anche autore di sette belle commedie nonché, seppur fugacemente, attore teatrale.
Thomas Mann aveva parecchi nemici ed invidiosi del suo talento e successo e per loro fu facile invece di attaccare il padre, che viveva riservato e schivo a Monaco, attaccare l’intraprendente figlio. Fu anche pubblicata una vignetta satirica su di loro e Klaus Mann fu sempre ossessionato dal paragone che tutti facevano tra le sue opere e quelle del padre. Era un paragone assurdo perché essi erano due scrittori diversi e molto diversi come stile letterario e tematiche. Essere uno scrittore avendo per padre uno degli scrittori più famosi al mondo non era semplice come riconobbero sia il padre, sia la sorella Erika.
Sua madre, Katia Pringhsheim, fu una donna piena di qualità umane. Lei e la sorella maggiore Erika furono le due persone più importanti nella vita di Klaus Mann e a loro dedicò la sua autobiografia “La Svolta”. Loro tre avevano una semplice raffinatezza che li contraddistingueva. Affabili, gentili, eleganti ma non snob, colti ma non pedanti. Lo scrittore inglese Christopher Isherwood descrisse Klaus Mann come molto sincero, disponibile all’ascolto e al confronto, altri lo hanno descritto ansioso – il che non sarebbe stato in contraddizione con il resto.
Katia Pringhsheim era bella ed intelligente, discendeva da una ricchissima famiglia ebraica che nel 1825 si era convertita al protestantesimo. Aveva studiato matematica e fisica ma aveva lasciato l’università per sposarsi nel 1905 con Thomas Mann che aveva già acquisito notorietà con il suo primo, voluminoso romanzo “I Buddenbrook”.
Katia sostenne ed aiutò sempre il figlio e cercò di dissuaderlo dall’usare la morfina che egli aveva iniziato a prendere da quando aveva 23, 24 anni. Negli anni ’20 in Germania ma non solo era abbastanza diffusa l’assunzione di morfina negli ambienti artistici e nell’alta società. In realtà essa era usata un po’ come oggi si usano farmaci come ansiolitici o antidepressivi (che allora non esistevano e di cui, detto per inciso, il primo della categoria sarebbe stato il Valium scoperto negli anni ’50). La morfina, dicono gli studi scientifici, produce tra l’altro un effetto di sospensione dalle preoccupazioni e dalle ansie ed era probabilmente questo effetto ad attrarre ma essa produce anche una forte dipendenza.
Klaus Mann si ricoverò in due cliniche per disintossicarsi dalla morfina, esperienza difficile che egli ha magistralmente descritto nel suo romanzo sugli esuli tedeschi degli anni ’30, “Il Vulcano”, pubblicato in Olanda nel 1939, due mesi prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Aveva già ampiamente affrontato questo tema nel romanzo “Punto di incontro nell’infinito” del 1932 che si ambientava nel febbricitante mondo teatrale alla fine della Repubblica di Weimar (di cui parleremo tra poco).
Il fatto che egli fosse dipendente dalla morfina, fatto che é stato visto da alcuni con supponenza, non influì minimamente sulla sua lucidità intellettuale e sulla sua coscienza morale e politica.
Anche con la sorella maggiore Erika Klaus Mann ebbe un rapporto di grande affetto e di affinità elettive. Intelligente, coraggiosa fino all’estremo, Erika Mann fu una attrice di teatro, autrice di alcuni saggi politici, grande attivista antifascista, bisessuale e tra i suoi amori vi furono Pamela Wedekind, stravagante figlia dell’allora celebre commediografo Franz Wedekind, l’attore Gustaf Gründgens, con cui fu anche sposata per circa un anno nel 1929, la nota attrice ebrea Therese Giehse, che sarebbe diventata la Musa di Bertolt Brecht, il medico e scrittore Martin Gumpert. Essa sposò anche il grande poeta inglese W.H.Auden ma fu un matrimonio proposto dal poeta stesso solo per farle avere la cittadinanza inglese quando Hitler fece togliere a tutti i Mann quella tedesca. Gli altri familiari ottennero la cittadinanza cecoslovacca.
E proprio a Gustaf Gründgens è ispirato in parte il protagonista del romanzo di Klaus “Mephisto” del 1936 che è considerato il romanzo più famoso di Klaus Mann e che gli avrebbe causato una grande arrabbiatura pochi giorni prima di morire, come vedremo, a soli 42 anni nel 1949.
Gustaf Gründgens gli aveva già ispirato il personaggio di un ambizioso attore in “Punto di incontro nell’infinito”.
Il personaggio di “Mephisto” è solo una mezza tacca, un uomo senza etica, un sadomasochista eterosessuale che ha una relazione con una donna equivoca (in realtà Gründgens era omosessuale) protetto da un alto gerarca nazista (come era stato Gründgens nella realtà protetto da Göring, uno dei più potenti collaboratori di Hitler) che fa una grande carriera nel Terzo Reich (Gründgens fu nominato direttore del più importante teatro del paese e dopo la guerra continuò ad essere in auge). Egli non è nazista ma è l’uomo qualunque che può adattarsi a qualunque regime mettendo a tacere la coscienza, ‘un venduto’ insomma ma Gründgens era veramente andato oltre e meritò il libro di Klaus Mann che non fu, come qualcuno ha scritto, una vendetta verso un ex amico ed ex cognato, ma una lucida descrizione di tutti coloro che pur essendo apolitici o di idee opposte (Gründgens prima del nazismo si dichiarava comunista) fanno la fortuna dei regimi totalitari.
E’ un romanzo per certi versi scioccante perché descrive il nazismo degli esordi così come era (ed era scioccante) con l’accuratezza con cui un geologo segue il susseguirsi delle scosse di un terremoto tracciate dal sismografo.
Dopo la morte di Klaus Mann il figlio adottivo di Gründgens intentò una lunghissima battaglia legale contro la pubblicazione del libro durata decenni. Il libro che era stato pubblicato per la prima volta in Olanda nel 1936 dall’editore Querido venne edito nella Repubblica federale tedesca solo nel…1981 !
Nel 1982 il regista ungherese István Szábo realizzò un film dal romanzo, “Mephisto”, magistralmente interpretato dall’attore tedesco Karl Maria Brandauer, che vinse il premio Oscar.
Fin dal 1933 Klaus Mann, che aveva allora 27 anni, fu un grande oppositore del nazismo, un mese dopo dalla vittoria del partito nazista ( che é bene ricordarlo non andò al potere con un colpo di stato ma vincendo le elezioni politiche tedesche del gennaio 1933) scelse di lasciare la Germania. Era il suo paese e per quanto egli fosse cosmopolita, lo amava, era la sua Heimat, lasciò il suo mondo, gli amici più cari, gli affetti. Visse da esule in Francia, in Olanda, in Svizzera ed infine negli Stati Uniti dove per poter andare in guerra chiese ed ottenne la cittadinanza americana.
Ma l’esilio fu anche molto difficile per la crescente diffidenza verso gli esuli tedeschi, la necessità di imparare nuovi idiomi ( Klaus Mann che già conosceva il francese imparò l’inglese così bene tanto da poter scrivere i suoi ultimi romanzi in quella lingua ), i problemi economici. Egli visse gli ultimi anni in povertà ed ammalato. Non voleva ricorrere al sostegno economico da parte dei genitori. Si era ammalato di sifilide, malattia allora difficilmente curabile e verso cui c’era un forte stigma sociale essendo principalmente una malattia a trasmissione sessuale, per la quale si era sottoposto a delle forti terapie mediche.
Tra i suoi amici più stretti c’erano lo scrittore René Crevel che si sarebbe suicidato nel 1935 e la scrittrice e fotografa svizzera Annemarie Schwarzenbach. Annemarie era lesbica. Nel 1936 andarono insieme al Congresso Internazionale degli Scrittori contro il Fascismo a Mosca. Ci fu tra di loro una vaga atmosfera romantica e lo scambio di un tenero bacio, non altro. Annemarie Schwarzenbach propose a Klaus Mann di sposarsi, egli fu in dubbio, ci pensò due giorni ma poi con gentilezza non accettò la proposta della ragazza. Restarono sempre amici e Klaus Mann diede a Johanna, protagonista del suo romanzo “Fuga al Nord”, i bei tratti di Annemarie Schwarzenbach che, detto per inciso, nel 1940 sarebbe stata il grande amore non corrisposto della grande scrittrice americana Carson McCullers.
Klaus Mann aveva esordito nel 1925, a soli 19 anni, con un libro sorprendente ” La pia danza”, la storia di un ragazzo che fugge a Berlino dove si innamora non ricambiato di un coetaneo, un tipo canagliesco ma affascinante, era un libro pieno di sensibilità, spiritualità e parecchio audace per il suo tempo.
E’ bene ricordare che esisteva allora in Germania una legge denominata Paragrafo 175 contro gli omosessuali e “La pia danza” fu il primo romanzo dichiaratamente gay pubblicato nel paese.
Il bellissimo “Punto di incontro nell’infinito” pubblicato nel 1932 quando Klaus Mann aveva 26 anni e ancora non tradotto in italiano racconta le frenetiche giornate di vari personaggi tra cui spiccano: Sebastian, vulnerabile scrittore venticinquenne, e la sua relazione con una affascinante ed inquieta donna polacca a Parigi, il suo ex amico Gregor Gregori, un ambizioso narcisista o un dannunziano si potrebbe dire, che da attore sconosciuto e di sinistra è diventato quasi una celebrità e tiene una fotografia di Mussolini sulla scrivania, ed infine Sonia, gentile e sensibile attrice, che coabita con un’amica, che è segretamente innamorata di lei, ed è corteggiata e chiesta in moglie sia dal Consigliere Bayer, un ricchissimo industriale, che vuole anche liberarsi di una moglie malata di nervi, come si diceva allora, sia da Gregori. Il libro descrive con grande acutezza la Germania sull’orlo del nazismo, corrotta, piena di diseguaglianze sociali, quattro milioni di disoccupati, cortei nazisti, vizi e stravaganze ma dall’altra parte anche poesia, teatro, liberi amori e marxismo. Un mondo in cui tutti, esponenti dell’alta società, borghesi, proletari, artisti danzano sull’orlo del baratro, dove – come nota Sonia – la parola ‘amore’ desta scalpore e sembra desueta e dove molti usano la morfina di cui Klaus Mann descrive accuratamente gli effetti, tra i quali allucinazioni e perdita della cognizione del tempo.
Il personaggio di Richard, giovane ed inquieto studioso di filosofia ebreo, certamente ispirato al suo reale amico Ricki, vanamente innamorato del coetaneo Tom, si suiciderà a Cannes. Il suo ultimo, coinvolgente monologo é una parte sobriamente elegiaca del romanzo e sembra quasi una premonizione del futuro di Klaus Mann che si sarebbe, sembra, suicidato proprio a Cannes (come vedremo).
Nel 1934 Klaus Mann pubblicò il suo primo romanzo antinazista ” Fuga al Nord’. I critici letterari tedeschi definiscono i libri degli scrittori esuli la ‘Exillitterature’ ( letteratura dell’esilio ) e “Fuga al Nord” fu il primo di quei romanzi.
In Germania tutti gli scrittori e le scrittrici, di differenti idee politiche e religiose, avevano lasciato il paese eccetto un paio di mediocri.
“Fuga al nord” é un bellissimo romanzo molto poetico ed evocativo, é la storia di Johanna, una ragazza che milita nel partito comunista tedesco, che dopo la vittoria di Hitler si rifugia in Finlandia da una sua amica e compagna di studi, Karen.
La sera stessa dell’arrivo, dopo un drammatico colloquio sulla situazione politica, in cui emerge lo sconcerto di una generazione, Johanna e Karen, del tutto inaspettatamente, fanno l’amore. ll capitolo per quanto innocente é stato censurato nella traduzione francese e il romanzo non é stato tradotto in italiano. Già nella bella commedia “Anja e Esther” lo scrittore aveva trattato di un amore tra due ragazze. Ma l’intimità emotiva e sentimentale tra Johanna e la dolce e premurosa Karen finisce quando Johanna si innamora di Ragnar, l’indolente ed affascinante fratello di Karen. Tra di loro nasce una relazione che porrà la ragazza davanti ad una dolorosa scelta: rimanere con lui nella quieta Finlandia o raggiungere i compagni antifascisti esuli a Parigi ?
Il personaggio di Ragnar ( che detto per inciso è un frequente nome proprio maschile scandinavo ) è ispirato a Hans Aminoff, un giovane finlandese, con cui Klaus Mann aveva avuto una storia d’amore. Aminoff, che all’epoca della pubblicazione del romanzo era rimasto in amicizia con lo scrittore anche se si era sposato, acquistò tutte le copie del romanzo dai librai del paese per impedire che qualcuno potesse riconoscerlo, cosa improbabile.
Negli ultimi racconti americani degli anni 40, pubblicati postumi, come la novella “Speed”, Klaus Mann descrisse un altro amore autobiografico, quello di un esule tedesco, uno studioso, per un ragazzo americano, bello, indolente e disertore, quasi una anticipazione del ribelle che James Dean avrebbe impersonato sullo schermo.
In “Symphonie Pathétique” del 1935 Klaus Mann descrisse in forma romanzata ma rigorosamente storica e con accenti di delicata malinconia ed introspezione psicologica un temperamento a lui affine – come disse egli stesso – il musicista russo Piotr Illich Tchaikovsky. Anche in questo libro si parla un amore omosessuale, delicato e non espresso, come quello del grande musicista verso il nipote ventenne Bob.
In “Finestra con le sbarre” raccontava invece gli ultimi giorni di Ludwig, re di Baviera, stravagante, sognatore, innamorato della musica di Wagner, omosessuale ma anche avversario della nuova Germania unita del cancelliere Bismarck, militarizzata, altezzosa ed arrogante.
Il saggista Giacomo Debenedetti disse che con questo libro Klaus Mann aveva superato il padre.
Durante l’esilio Klaus Mann fondò due riviste letterarie antifasciste molto importanti a cui collaborarono centinaia di scrittori e scrittrici, tra cui Bertolt Brecht e Benedetto Croce, e negli Stati Uniti tenne numerose conferenze. Egli dedicò agli esuli tedeschi il suo ultimo romanzo “Il Vulcano”, rievocazione corale di sommesse speranze nei piccoli caffè di Parigi e solitudini nelle larghe vie di Manhattan. Tra i personaggi risplende Marion, volitiva ragazza tedesca, che è certamente ispirato a sua sorella Erika, invece il personaggio di Martin, che viene distrutto dalla sua tossicodipendenza, non é un autoritratto dell’autore come anche Erika Mann ha sostenuto, caso mai egli potrebbe aver evocato il suo dolore esistenziale nella sensibile, delicata Till, che dopo una breve relazione quasi casuale con un ragazzo, oberata dalle pressioni sociali, viene convinta ad abortire ma ne uscirà distrutta.
Till é uno dei personaggi più belli e commoventi creati dallo scrittore e “Il Vulcano” é il romanzo più bello della letteratura dell’esilio.
Come si può notare Klaus Mann affrontava coraggiosamente nei suoi libri temi scabrosi che non erano presenti in altri romanzi del tempo. Egli lo faceva sempre con una scrittura raffinata, elegante, introspettiva e mai volgare o morbosa.
Nel 1934 Klaus Mann aveva anche pubblicato un ampio articolo su una rivista di Praga in Cecoslovacchia intitolato “Omosessualità e fascismo”. Anche questo era un tema delicato perché era iniziata da poco una persecuzione generale verso gli omosessuali: in Germania omosessuali, uomini e donne, venivano deportati e torturati in quanto considerati ‘degeneri” ed ‘inferiori’. Furono circa 100.000 gli omosessuali che sarebbero stati uccisi nei campi tedeschi.
In Unione Sovietica essi venivano imprigionati invece perché per Stalin l’omosessualità era un vizio borghese decadente. E’ bene ricordare che invece l’Unione Sovietica di Lenin era stata molto aperta e tollerante verso gli/le omosessuali.
Klaus Mann nel suo articolo fece una panoramica della storia dell’omosessualità e denunciò pubblicamente queste terribili persecuzioni quando nessun altro lo faceva. Non parlò dell’Italia perché le persecuzioni contro gli omosessuali, solo uomini, nella penisola sarebbero iniziate quattro anni dopo la stesura dell’articolo.
In esso Klaus Mann scriveva “Che lo si comprenda infine, è un amore come un altro, né migliore, né peggiore. Con altrettante possibilità di sublime, di commovente, di melanconico, di grottesco, di bello o di triviale come l’amore tra un uomo e una donna”.
Scrivere apertamente di omosessualità nel 1934 era veramente coraggioso, era un argomento tabù e il movimento Lgbt sarebbe nato solo nel 1969 in America.
Alla ricerca di un ‘amore felice’, come scriveva lui stesso, Klaus Mann ebbe due importanti storie d’amore: la prima con Hans Aminoff, tanto importante emotivamente da avergli ispirato “Fuga al Nord” e la seconda con Thomas Quinn Curtiss, un giornalista americano, bello, ansioso e volubile, che non gli diede quella serenità di cui egli aveva grande bisogno.
I Diari di Klaus Mann, pubblicati postumi solo negli anni ’90 in tedesco e poi in francese e parzialmente in italiano, ci rivelano una vita estremamente piena di impegni, di incessante lavoro e di frequenti viaggi ma anche pensieri delicati, toccanti, la sua grande tenerezza verso la sorella e la madre, la ‘profonda amarezza’ verso la grande ‘freddezza’ del padre che, egli scriveva, sembrava ‘infastidito’ solo dalla presenza del figlio, i progetti letterari, la sua resilienza, la sua tristezza estenuante, l’abuso di droga ma anche i molti tentativi di liberarsene, gli incontri fugaci con giovani francesi e americani che non potevano colmare il suo bisogno di amare e di essere amato.
I Diari di Klaus Mann non sono solo molto interessanti da un punto di vista storico ma in alcune parti sono struggenti.
Nel 1938 Klaus Mann raggiunse la Spagna dove era iniziata la guerra civile come giornalista e negli anni ’40, esule negli Stati Uniti, scelse di arruolarsi nell’esercito statunitense ma le difficoltà non erano finite: la sua domanda venne rifiutata più volte ed infine accettata.
Egli avrebbe anche voluto, essendo credente e cristiano, convertirsi al cattolicesimo prima di salpare per l’Europa. Aveva sempre sentito come estraneo il protestantesimo natio.
Ebbe un colloquio con un prete ma il religioso non accettò la sua richiesta molto probabilmente a causa del suo orientamento.
Nel 1944 venne mandato in Italia dove non combattè ma fu incaricato di redigere volantini in tedesco per convincere soldati tedeschi ad arrendersi ed interrogò prigionieri tedeschi, fu giornalista per la rivista “Stars and Stripes”.
Conobbe Roberto Rossellini, scrisse parte della sceneggiatura del film “Paisà” e ammirò il talento di Anna Magnani.
In Germania rivide con grande emozione la bella villa di famiglia monacense semi distrutta dalle bombe.
Nel dopoguerra negli Stati Uniti venne seguito dall’Fbi che lo descrisse nei suoi documenti segreti come un ‘invertito’ (termine allora usato per definire gli omosessuali) e un ‘comunista’.
Klaus Mann non era comunista ma più, anche se lui non si era autodefinito, un socialista democratico ma nell’America di Truman il sospetto di essere un comunista era molto pericoloso perché le persecuzioni verso i comunisti nel paese si stavano intensificando e sarebbero sfociate nel furore del maccartismo.
Un giornale austriaco accusò Erika e Klaus Mann di essere addirittura spie di Stalin.
Gli Usa e l’Urss erano diventati da alleati nemici.
La grande analisi politica di Klaus Mann dell’immediato dopoguerra fu che era necessario un nuovo Umanesimo politico, intellettuale e morale e che se il nazismo era stato l’orrore assoluto il capitalismo americano ed inglese e lo stalinismo sovietico non erano per niente innocenti. Una analisi intelligente e veritiera che scontentava tutti.
Nel suo ultimo scritto politico della primavera del 1949 egli descriveva le inquietudini degli intellettuali europei.
Il suo ultimo romanzo incompiuto, “The Last Day”, raccontava la storia disperata di due ragazzi tedeschi, uno dell’est e uno dell’ovest, e le pagine che sono rimaste sono veramente belle.
Sabato 21 Maggio 1949, una amica di Klaus Mann che lo aveva accompagnato a Cannes, sulla Costa Azzurra in Francia, dove aveva intrapreso una cura disintossicante dalla morfina, chiamò il pronto soccorso medico. Klaus Mann era stato trovato nella camera vicina in stato di incoscienza. Venne portato in ospedale e sembrò che potesse riprendersi. La donna avvertì i familiari, il padre, la madre ed Erika Mann che si trovavano in quei giorni a Stoccolma. Thomas Mann stava infatti tenendo alcune conferenze in Svezia in quella sfortunatissima primavera. Klaus Mann morì invece poco dopo.
Il giorno prima, venerdì 20 maggio, era stato un giorno di pioggia. Klaus Mann aveva fatto un’ultima passeggiata e si era recato in un caffè dove aveva un appuntamento con un francese di nome Louis. Nessuno ha mai saputo chi fosse questo Louis che però mancò all’appuntamento. Egli aveva scritto poche ore prima una lettera alla madre e alla sorella in cui aveva raccontato che stava abbastanza bene e che stava lavorando. Era reduce da una grande arrabbiatura con un editore tedesco che spaventato da ostacoli da parte Gustaf Gründgens e dai nazisti – vinti ma non scomparsi dalla Germania – aveva vigliaccamente rotto il contratto per la pubblicazione del romanzo di Mann ” Mephisto”, Klaus Mann gli aveva risposto in modo energico, stava lavorando alacremente al suo nuovo romanzo.
Era poi tornato nella pensione e prima di dormire aveva preso dei sonniferi che erano appena arrivati per posta da una farmacia negli Stati Uniti. I medici e la famiglia attribuirono la sua morte ad un suicidio e così si è sempre pensato ma nel 2016 Frederich Spotts, saggista ed ex diplomatico, in una ampia biografia dedicata allo scrittore, ha avanzato dei dubbi su questa tesi che era stata finora data come una certezza.
Anche se sembra che Klaus Mann soffrisse di una depressione e anche se alcuni mesi prima aveva tentato il suicidio per una delusione sentimentale Spotts ritiene che la sua morte sia stata causata da un fatto accidentale: una intossicazione non voluta dovuta ai sonniferi che avevano intereagito con le quantità di droghe che egli aveva assunto durante la sua vita. L’ipotesi è interessante e andrebbe presa in considerazione anche se per saperne di più bisognerebbe poter leggere la cartella clinica, se ancora esistesse.
Effettivamente non venne trovato nessun messaggio di addio di Klaus Mann ai familiari – cosa strana per uno scrittore che scriveva moltissimo come lui. Non vi era alcun accenno di ciò nelle ultime pagine dei Diari, né tantomeno le lettere scritte il 20 maggio facevano presagire il suicidio ed anzi avevano un tono in parte scherzoso.
Tuttavia il fatto che la famiglia e i medici abbiano dato per certo il suicidio va tenuto ben presente e se così fu si trattò di una decisione immediata ed impulsiva.
Nel 1996 il fratello di Klaus Mann, il noto storico conservatore Golo Mann (detto per inciso anche lui gay), in una intervista ad una rivista francese, ‘Magazine Littéraire’, a proposito del suicidio del fratello maggiore rispose che lui non c’entrava niente e che il fratello era tossicodipendente. Che lui non c’entrasse niente era evidente ma ciò che personalmente trovo sconcertante é che Golo Mann non abbia avuto una sola parola di empatia verso il fratello.
Nel maggio del ’49 la guerra fredda era alle porte, si temeva una nuova guerra atomica e questo clima soffocante, le delusioni sentimentali, professionali, economiche, la tossicodipendenza, la malattia, e, a monte, la freddezza da parte del padre, sembrano essere state le cause del suo suicidio a meno che non sia più esatta l’ipotesi formulata dal saggista Spotts di un incidente involontario.
Sua sorella Erika scrisse queste parole ad un amico: “come farò a vivere senza di lui ancora non lo so, so solo che devo”.
Klaus Mann riposa al Grand Jas, il cimitero di Cannes, per volontà di lei che ha preferito lasciarlo dove aveva scelto di morire, lui che aveva vissuto, come ella scrisse ‘all’ombra del padre’ e simili parole le aveva scritte anche Thomas Mann: ‘la mia esistenza getta un’ombra sulla sua’.
L’eredità di Klaus Mann oltre alla sua vasta opera letteraria rimane la sua grande integrità intellettuale.