Carson McCullers, il genio celato della letteratura americana

Carson McCullers, il genio celato della letteratura americana

Articolo di Lavinia Capogna

Carson McCullers è conosciuta in Italia solo dagli amanti della letteratura e anche negli Stati Uniti non lo è abbastanza e viene frettolosamente catalogata come esponente di uno stile, il Gothic Southern, di cui farebbero parte anche Faulkner, Caldwell, Flannery O’Connor ed Eudora Welty, che descriverebbe singolari paesaggi tra piantagioni, climi violenti, sentimenti primordiali.

In realtà Carson McCullers è il genio celato della letteratura americana. (Uso l’aggettivo ‘genio’ al maschile perché genia al femminile ancora non è entrato in uso frequente nel nostro vocabolario).

Ella è grande come Dostoevskij, di cui amava i libri, nel descrivere stati d’animo ed atmosfere e pubblicò il suo capolavoro, “Il cuore è un cacciatore solitario” (The Heart is a Lonely Hunter), a soli 23 anni.

Il romanzo è la storia di un’adolescente e di altri personaggi in una cittadina nel Sud degli States con strade polverose, piccoli caffè, case tutte uguali con un piccolo patio, amori e solitudini descritti con grande maestria.

Nella grande amicizia tra il muto e il greco si può anche leggere tra le righe un amore segreto.

Il personaggio del medico marxista Afro American è un personaggio pieno di dignità, lontanissimo dai brutti stereotipi sugli Afro American allora in voga.

Lo scrittore nero Richard Wright in una recensione del libro nel 1940 sulla rivista “The New Republic” scriveva:

“Per me l’aspetto più impressionante de “Il cuore è un cacciatore solitario” è la sorprendente umanità che consente ad una scrittrice bianca, per la prima volta nella narrativa del Sud, di gestire i personaggi neri con la stessa facilità ed equità di quelli della sua etnia. Questo non può essere spiegato stilisticamente o politicamente, sembra derivare da un atteggiamento nei confronti della vita che consente a Miss McCullers di superare le convenzioni del suo ambiente e di abbracciare l’umanità bianca e nera in un’unica ondata di comprensione e di tenerezza”.

La giornalista Sarah Schulman scrisse in un articolo del 2016 nella prestigiosa rivista The New Yorker:

“Nei suoi romanzi successivi “Riflessi in un occhio d’oro”, “Invito di nozze” e “Orologio senza lancette” (…), nella novella e nella raccolta di racconti “La ballata del Caffé triste”, nel libro di memorie “Illumination and Night Glare”, che aveva dettato stando a letto (negli ultimi mesi di vita – ancora inedito in Italia ndr) e nelle due commedie, “Invito a nozze” e “The Square Root of Wonderful” (ancora inedita in Italia ndt) McCullers aveva creato una gamma sorprendente ampia di personaggi: un ebreo gay sordo, un nano, un medico marxista nero e i suoi figli già maturi e alcune ragazze bianche che sfidavano i ruoli tradizionali con i loro grandi sogni. McCullers aveva una capacità quasi singolare di descrivere l’umanità di qualsiasi tipo di persona, molte delle quali non erano mai apparse nella letteratura americana prima che lei le creasse”.

Il vero nome di Carson McCullers era Lula Smith ed era nata nel 1917 a Columbus in Georgia. Suo padre aveva un negozio e sua madre era una casalinga che aveva avuto tre figli.

Fin da bambina dimostrò talento musicale e a 10 anni incominciò a prendere lezioni di pianoforte. 

Ella era senza dubbio una ‘persona altamente sensibile’, cioè persone particolarmente intuitive e vulnerabili che molti decenni dopo sarebbero state descritte dalla psicologa Elaine Aron, il che non è un disturbo ma un tratto innato del carattere.

Il primo motivo della rimozione del grande talento di questa scrittrice della Georgia è nelle sue idee politiche antirazziste, antifasciste e vicine alla perseguitata sinistra americana. Carson McCullers rappresentò un personaggio scomodo al conformismo ed ella si sentì “straniera in una terra straniera” come uno dei suoi personaggi. Questo senso di estraneità pervade tutti i suoi libri.

A 17 anni Carson McCullers raggiunse New York, la grande big city dalla vita già allora frenetica, per iscriversi alla Juilliard Musical School, una delle più prestigiose accademie di musica, danza e teatro, ma poi cambiò idea e si dedicò alla letteratura scrivendo e pubblicando un racconto che venne apprezzato.

A vent’anni, nel 1937, si sposò con Reeves McCullers, che aveva 24 anni.

Reeves McCullers era un giovane intellettuale che aveva lasciato la carriera militare e che condivideva gli stessi ideali di lei e sognava di diventare un noto scrittore.

Carson McCullers descrisse i primi anni del loro matrimonio come felici ma poi divennero sempre più difficili, come vedremo.

Il secondo motivo della rimozione del talento di Carson McCullers è nella sua bisessualità (di cui parleremo tra poco) e nel suo modo di presentarsi agli altri, spesso ella indossava una camicia e dei pantaloni.

In quegli anni ’40 alcune donne americane incominciarono raramente ad indossare i pantaloni e anche alcune star di Hollywood, da Marlene Dietrich a Rita Hayworth, si fecero fotografare con questo indumento fino ad allora esclusivamente maschile ma per Carson ciò era usuale. Si sarebbe potuta definire (ammesso e non concesso che ci sia bisogno di definizioni) un tomboy, che detto per inciso non è in americano un termine spregiativo come la sua imprecisa traduzione italiana “maschiaccio”.

Nel 1940, quando il suo capolavoro “Il cuore è un cacciatore solitario” era stato appena pubblicato e stava ottenendo un grande successo in quell’America del New Deal del presidente Franklin Delano Roosevelt e ancora non in guerra nonostante l’Europa fosse già in fiamme, venne presentata dallo scrittore di talento ed esule tedesco antifascista Klaus Mann, figlio di Thomas Mann, ad una giovane svizzera, anche lei sensibile autrice e fotografa, che desiderava farle una intervista.

Era il 1 luglio 1940, un afoso lunedì, quando in un caffè di New York Carson McCullers conobbe Annemarie Schwarzenbach. In seguito avrebbe scritto “sapevo che il suo viso mi avrebbe perseguitato per tutta la vita”. Annemarie bella, raffinata ed infelice, le apparì come “il principe Myskin” di Dostoevskij, l’affascinante, assolutamente buono protagonista del romanzo “L’idiota”.

Non sappiamo se definire questo incontro come un colpo di fulmine sentimentale, una rivelazione, un destino.

Iniziò subito un rapporto di amicizia tra le due ragazze, Annemarie che aveva sette anni più di Carson proveniva da una famiglia di ricchissimi industriali zurighesi ma era presto fuggita da loro per vivere la sua vita, scrivere, innamorarsi di alcune ragazze e prendere parte attivamente alla Resistenza della prima ora contro Hitler nonché viaggiare in Persia, Afghanistan, India.

Nacque tra di loro una forte connessione emotiva ma non un amore, come avrebbe voluto Carson, sia perché Annemarie la vedeva “troppo innocente”, sia perché il geloso Reeves McCullers si era addirittura presentato all’hotel newyorchese di Annemarie per chiedere spiegazioni, sia perché Annemarie aveva allora una turbolenta relazione con Margot Von Opel, moglie del celebre industriale dell’automobilismo tedesco, sia perché Annemarie era dipendente dalla morfina e last but not least perché Annemarie voleva bene a Carson ma non era innamorata di lei. 

Ci fu – raccontò Carson – solo un delicato bacio di congedo fra di loro e conversazioni letterarie ma Annemarie si ritrovò presto coinvolta, a causa di una furibonda lite con l’ambigua Margot Von Opel, in una brutta vicenda e fu costretta a tornare in Europa.

Carson dedicò ad Annemarie il suo secondo romanzo, “Riflessi in un occhio d’oro”, che si ambienta in una guarnigione militare dove un maggiore vive un forte conflitto interiore a causa dei suoi sentimenti verso la moglie e l’attrazione verso un soldato. Bisogna ricordare che il tema dell’omosessualità era allora un tabù che era stato affrontato dichiaratamente nella letteratura solo in Francia nelle opere di André Gide e Marcel Proust e in Inghilterra in quelle di Rosamond Lehmann, Radclyffe Hall, Virginia Woolf e, con qualche accenno, in poche altre.

Il regista John Huston avrebbe tratto un buon film da questa trama di repressione di sentimenti nel film omonimo del 1967 interpretato da due attori del calibro di Marlon Brando ed Elizabeth Taylor.

Josiane Savigneaux, biografa francese di Carson McCullers, autrice nel 1995 di saggio su di lei, “Un coeur de jeune fille” (un coeur de jeune fille vuol dire una ragazza deliziosa, amabile) scriveva riguardo all’orientamento sentimentale di Carson McCullers, (che era chiaramente bisessuale – anche se forse non visse mai una storia d’amore con una donna) una frase sorprendente:

 “Le etichette lesbica e bisessuale sono state usate da chi denigra ogni forma di marginalità per prendere le distanze da Carson McCullers classificandola come una “artista anormale” ma anche dai partigiani dell’omosessualità – sia maschile che femminile – che si appropriano della scrittrice per la loro causa”.

Personalmente non condivido questa affermazione della biografia francese per varie ragioni: le parole lesbica e bisessuale (ma anche omosessuale e transgender) non sono etichette ma aggettivi che per poter essere pronunciati ci sono voluti migliaia di anni di sofferenze e di persecuzioni che ancora non sono finite e cinquant’anni di movimento LGBT +.

Secondo, nessuno si vuole appropriare di Carson McCullers ma che lei abbia amato il marito e poi Annemarie Schwarzenbach è un dato di fatto e non una ipotesi, raccontato dalla scrittrice stessa.

Un’altra biografia di Carson, Virginia Spencer Carr, scrisse invece nella sua biografia “The Lonely Hunter” (La cacciatrice solitaria): “Carson amava Annemarie molto più di quanto Annemarie potesse mai ricambiarla”, il che era vero.

Tra i grandi amici di Carson McCullers ci fu il bravissimo commediografo Tennessee Williams, dichiaratamente gay.

E sembra che proprio l’amore di Carson per Annemarie sia stata la causa della sua separazione e del divorzio da Reeves McCullers nel 1941.

Qualcuno disse anche che Reeves, che era un aspirante scrittore, fosse stato anche overwhelmed (sopraffatto) dal successo improvviso della giovane moglie, tuttavia poco tempo dopo Carson e Reeves tornarono insieme e nel 1945 si risposarono. Ma questa volta andò ancor peggio: Carson lottava contro una precaria condizione di salute, da adolescente aveva sofferto di una febbre reumatica che le aveva procurato danni cardiaci e fin da ragazza soffrì di ictus, Revees era precipitato nell’alcolismo e in una cupa depressione e si sarebbe suicidato nel 1953.

Nel 1942 Annemarie Schwarzenbach morì in Svizzera a soli 34 anni in seguito alle conseguenze di un incidente stradale.

Fu Klaus Mann a dover comunicare la terribile notizia a Carson.

Nel 1946 Carson pubblicò

la commedia “Invito di nozze” che descriveva i sentimenti di un’adolescente al matrimonio di un parente e che avrebbe ispirato qualche anno dopo un film di Fred Zinnemann, uno dei registi più impegnati di Hollywood.

Otto Frank, il padre di Anne Frank, colpito dalla capacità della scrittrice di descrivere gli stati d’animo di un’adolescente si recò negli Stati Uniti per chiederle di scrivere un’opera teatrale sulla tragica vicenda della figlia ma Carson, dopo aver riflettuto, comprese che ciò sarebbe stato troppo doloroso per lei emotivamente.

L’opera venne poi scritta da altri due commediografi.

La raccolta di novelle dallo splendido titolo “La ballata del Caffè triste” raccontava ancora di solitudini, di personaggi ai margini della società e affrontava nuovamente il tema della diversità nel personaggio del nano. 

A 40 anni Carson, la cui salute fisica era molto compromessa e che lottava contro una nevrosi e problemi di alcool, si rivolse ad una psicoterapeuta, Mary Mercer, dicendole nel suo lessico poetico: “Ho perduto la mia anima”

“Nessuno perde la propria anima” rispose la dottoressa. Fu l’inizio di un rapporto terapeutico ed umano molto significativo.

Mercer conobbe a fondo non solo una donna ma anche una grande scrittrice ed ebbe il permesso di registrare le sedute (una cosa certamente discutibile).

Nel corso del tempo Carson visse a Parigi, a Roma, dove conobbe un giovane Pier Paolo Pasolini e collaborò ad una rivista letteraria e poi a lungo a Nyack, vicino New York, dove aveva acquistato una grande villa del 1700, una di quelle bellissime case coloniche circondate da ampi giardini con alberi rossi e gialli che si trovano in America, per sua madre, sua sorella ed un’amica e governante Afro American.

Nel 1967, ormai sola, lasciò la sua villa in eredità alla sua terapeuta che ne fece un centro culturale per giovani artisti e morì a soli 50 anni a causa di una emorragia cerebrale.

La scrittrice che temeva di aver perso la sua anima non solo non l’aveva persa ma attraverso i suoi libri ci aveva fatto conoscere l’anima più bella e sofferta dell’America.

Associazione di promozione sociale
di Roma che si occupa di cultura e
diritti LGBTQI+

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